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Il legale risponde aprile 2025

Pubblicato il 02/05/2025
Pubblicato in: Il Legale Risponde
Il legale risponde aprile 2025

OGGETTO: RISCONTRO A QUESITO IN MERITO ALLA COMPATIBILITA’ TRA RUOLO DI PRESIDENZA O DI COMPONENTE DI UN ORGANO DI UN ORDINE PROFESSIONALE E CANDIDATURA O INVESTITURA QUALE RAPPRESENTANTE SINDACALE

nel rispondere al quesito occorre considerare, in primo luogo la normativa generale che ha elencato i casi di incompatibilità ed inconferibilità per i componenti di organi di indirizzo di enti pubblici (nel caso degli Ordini, di tipo non economico), introdotta con il D.lgs. 39/2013 che contiene “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e pres-so gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novem-bre 2012, n. 190”.
Si ricorda che, a mente della legge citata, ove fosse ravvisabile una causa di incompatibilità, la legge in materia (art. 1, comma 2 lett. h) pone” l'obbligo per il soggetto cui viene conferito l'incarico di sce-gliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici giorni, tra la permanenza nell'in-carico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finan-ziati dalla pubblica amministrazione che conferisce l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l'assunzione della carica di componente di organi di indirizzo politico”.
Orbene, nessuna delle ipotesi di incompatibilità normativamente previste da Capi V e VI, art. 9-14 e ss. del D.Lgs. 39/2013 è riconducibile al rapporto fra Componente di Consiglio Direttivo di Ordine professionale e ruolo sindacale(4).

(4)_Non si rinviene un inequivoco criterio interpretativo neppure nell’ “Accordo Collettivo Nazionale quadro in materia di costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche am-ministrazioni e per la definizione del relativo regolamento elettorale” siglato, da ultimo, il 12/04/2022. Esso, in-fatti, all’art. 8, stabilisce “La carica di componente della RSU è incompatibile con qualsiasi altra carica in or-ganismi istituzionali o carica esecutiva in partiti e/o movimenti politici”. In primo luogo non si comprende che cosa si intenda, esattamente, per “carica”. Negli ordini professionali le cariche sono convenzionalmente ricono-sciute nel Presidente, nel Vicepresidente, nel Segretario e nel Tesoriere (oltre che nel Presidente del Collegio dei revisori). Il singolo componente RSU, invece, è parte di un organismo collettivo spesso composto da decine di persone di orientamento plurale e contrapposto.
Né, inoltre, è chiaro cosa si debba intendere per “organismi istituzionali”: ci si riferisce alle classiche Istituzioni rappresentative della collettività (si pensi al Consiglio comunale) oppure ci si riferisce anche agli “enti associati-vi” come gli Ordini professionali? (tali perplessità – si rammenta – erano state espresse dall’autorevole giurista dott. Luca Benci, in relazione alla versione all’epoca vigente dell’Accordo Collettivo che già includeva la mede-sima disciplina sulle incompatibilità, in un articolo pubblicato su “Quotidiano Sanità” in data 16.05.2018).

Una possibile risposta al quesito specifico è contenuta, a parere degli scriventi, nella Legge che ha riordinato e gli Ordini delle professioni sanitarie, disciplinando le funzioni degli stessi ed i poteri-doveri dei componenti degli Organi direttivi e di controllo.
In particolare, l’art. 3 comma 1, del D.Lgs. Lgt. Cps 13.9.1946, n. 233, recante la Legge Professionale, come modificato dall’art. 4, comma 1, della Legge 11.1.2018, n. 3 (Legge Lorenzin) prevede che “Gli Ordini e le relative Federazioni nazionali: a) sono enti pubblici non economici e agiscono quali organi sussidiari dello Stato al fine di tutelare gli interessi pubblici, garantiti dall'ordinamento, connessi all'esercizio professionale; b) sono dotati di autonomia patrimoniale, finanziaria, re-golamentare e disciplinare e sottoposti alla vigilanza del Ministero della salute; sono finanzia-ti esclusivamente con i contributi degli iscritti, senza oneri per la finanza pubblica; c) promuovo-no e assicurano l'indipendenza, l'autonomia e la responsabilità delle professioni e dell'esercizio professionale, la qualità tecnico-professionale, la valorizzazione della funzione sociale, la salva-guardia dei diritti umani e dei principi etici dell'esercizio professionale indicati nei rispettivi codici deontologici, al fine di garantire la tutela della salute individuale e collettiva; essi non svolgo-no ruoli di rappresentanza sindacale”.

La norma merita un’attenta interpretazione ed una lettura completa e sistematica delle sue parti. La sua ratio è individuabile nella necessità di assicurare massima indipendenza e autonomia agli Ordini pro-fessionali ed ai Componenti dei suoi organi, necessarie a garantire la tutela dei fondamentali interessi pubblici connessi all’esercizio delle professioni sanitarie. Inoltre, gli Ordini agiscono come organi sus-sidiari dello Stato per la tutela degli stessi interessi pubblici, il che vuole dire che agiscono in nome e per conto dello Stato svolgendo compiti istituzionali che competerebbero a questo ultimo. Per queste ragioni, la legge vieta agli Ordini di “svolgere ruoli di rappresentanza sindacale”, poiché i Sindacati sono associazioni private riconosciute dalla Costituzione per la tutela di interessi prevalentemente pri-vati dei singoli lavoratori, anche con importantissime ricadute in termini di tutela di diritti fondamen-tali come quello al lavoro ed alla qualità e sicurezza dello stesso.
Tale lettura della norma depone nel senso che il divieto dovrebbe riguardare non soltanto gli Ordini, intesi come Ente, i quali non possono sedere a tavoli di contrattazione o agire a tutela degli iscritti in quanto lavoratori dipendenti, pubblici o privati, ma anche i singoli Componenti Consiglieri, le Cariche direttive e di controllo: ciò anche perché gli stessi sono chiamati per legge a vigilare sugli iscritti e sul loro comportamento deontologico, anche se tenuto sul luogo di lavoro, e possono essere chiamati ad assumere decisioni disciplinari su eventuali illeciti deontologici da questi commessi. Per questa ultima ragione, il ruolo di vigilanza e disciplina potrebbe porsi in conflitto con quello di tutela del dipendente che i sindacalisti svolgono all’interno dei luoghi di lavoro.
Si deve tuttavia segnalare che sul punto vi sono pareri difformi, anche in seno ad altre Federazioni di professionisti sanitari (un autorevole parere – già citato in nota – è stato redatto dal compianto giurista Luca Benci il quale argomenta l’impossibilità che i due contesti di Ordine ed RSU sindacale possano entrare in conflitto di interessi), pareri che escludono una incompatibilità tra Organi degli Ordini pro-fessionali e ruolo di rappresentanza sindacale.
Conclusivamente, è parere degli scriventi che, per quanto la questione non sia considerata pacifica e sia ancora discussa, vi siano ragioni di opportunità – giuridicamente fondate in base ad un’interpretazione sistematica del quadro normativo sopra ricordato – nel senso della incompatibilità fra il ruolo ordinistico e quello sindacale per l’esistenza di un potenziale conflitto di interessi.

Sarebbe auspicabile, tuttavia, anche per evitare eccessiva discrezionalità ed interpretazioni divergenti che tale incompatibilità fosse espressamente sancita nel Codice deontologico della Professione di Ostetrica ovvero, quantomeno, in un atto regolamentare interno federativo.

 

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